Contro l’eccessiva produzione di rifiuti tessili si muove la fast fashion che vuole allungare la vita dei suoi capi d’abbigliamento. Dopo Zara, arriva H&M. Il colosso svedese della moda, che già ha inaugurato lo scorso novembre a Londra un servizio di noleggio, il 5 ottobre, sempre nel suo negozio monomarca inglese, apre alla vendita di abiti e accessori di seconda mano. Una decisione dettata dalla volontà di essere parte della soluzione e non del problema. Quando si parla di rifiuti tessili infatti, l’attenzione viene puntata sulle abitudini dei consumatori e sulle catene di fast fashion, focalizzandosi sulla necessità di avviare un cambio di passo nella direzione di una minor produzione di rifiuti, ma soprattutto di maggior riuso.
Secondo quanto riporta l’agenzia Reuters, davanti all’Unione Europea che sta preparando una nuova regolamentazione per ridurre i rifiuti tessili, “H&M ha riconosciuto di essere «parte del problema»”, sostenendo che “il modo in cui la moda viene prodotta e consumata deve cambiare”. La collezione di abiti di seconda mano proposta nel negozio di Regent Street presenterà capi H&M e dei marchi del gruppo (Arket, Cos, Monki e Weekday); saranno però presenti anche vestiti di altri marchi e designer. I capi proverranno da Flamingos Vintage Kilo, una società che gestisce negozi di abbigliamento vintage di seconda mano in Europa e negli Stati Uniti, e avranno un prezzo compreso tra 29,99 e 189 sterline. È questo il secondo negozio H&M dove trovare abiti di seconda mano: all’inizio del 2023, il primo è stato aperto a Barcellona. Inoltre per Svezia e Germania, H&M ha un’offerta online dedicata all’usato.
Si tratta di una svolta verso la sostenibilità dettata da una parte dal successo di alcune piattaforme online, dall’altra da una necessità ecologica non più rinviabile. I rifiuti tessili rappresentano un problema: secondo le Nazioni Unite, una persona media acquista il 60% in più di vestiti rispetto a 15 anni fa e ogni secondo, l’equivalente di un camion della spazzatura pieno di prodotti tessili viene gettato in una discarica. Senza contare il consumo di materie prime (per realizzare un paio di jeans occorrono quasi 8.000 litri d’acqua) e l’inquinamento (l’industria della moda è la seconda più inquinante, subito dietro alle grandi compagnie petrolifere).
L’Italia si appresta a vivere un passaggio epocale che vedrà i produttori e i distributori in prima linea nella gestione di tutto ciò che può essere ricondotto alla famiglia dei “tessili”. In attesa dei decreti attuativi, che indicheranno le modalità operative, il consorzio Ecotessili si è già attivato per accompagnare le aziende in questa transizione green.